Nella sua voce non si percepisce alcuna nota di spocchia nè, tantomeno, di sfida, semmai una punta di legittimo orgoglio ma anche di solitudine, quando inizia con "provate voi..."
Quante volte l'ho sentito pronunciato dai miei assistiti -profughi, detenuti, minori abbandonati, vittime di maltrattamenti, di tratta o di atroci violenze-, questo doloroso prologo: "prova tu" oppure, declinato nella sua variante disfattista: "tu non puoi capire"!

  Credo che sia stato in quei giorni, di quella stagione che non si può più chiamare estate, che tutto ha iniziato a franare. Già da prima di quel maledetto 20 luglio, a dire il vero, le nostre illusioni di "nativi democratici" sull'intangibilità di alcuni diritti (almeno ora e qui) davano segni di cedimento. Vedere la propria città blindata, trovarsi i lucchetti e le catene al portone, la toponomastica divisa in zone rosse, il rumore degli elicotteri, la follia mediatica che azzardava improbabili ipotesi di attacchi chimici o lanci di sacche di sangue infetto, offrivano l'idea che qualcosa di enorme stava per accadere.

E' un movimento rapido, abitudinario, ma rallentato in qualche modo dalla furtività, una fretta che impaccia.
Le mani, normalmente sicure e avvezze a quel gesto quotidiano, inciampano come incerte, perdendo secondi in realtà affatto preziosi. Eppure gli occhi si muovono repentinamente per verificare se l'attenzione dei compagni di avventura sia stata in qualche modo attirata su di sé.

Abbiamo bisogno di voci coraggiose di eroi comuni che si oppongano all'ingiustizia e alla repressione", questo è l'invito di Salil Shetty, Segretario Generale di Amnesty International in apertura dell'ultimo numero della rivista trimestrale della nota organizzazione umanitaria. Aggiungerei a questa accorata richiesta, oltre alle voci coraggiose, il bisogno di mani, altrettanto impavide.

La madre lo racconta benissimo. E la platea numerosa e attenta, ammutolisce, fino a trattenere quasi il respiro.
In quell’ultima fotografia scattata dal figlio pochi istanti prima di essere ucciso, il viso ritratto del suo amico, che seguirà la sua stessa atroce fine, non esprime paura ma preoccupazione, non ansia per sè stesso, per la morte evidentemente imminente, ma apprensione, quasi tenerezza per la sorte dell’amico che eroicamente continua fino alla fine a testimoniare la violenza e l’orrore di quei luoghi, come meglio sa fare, impugnando la macchina fotografica.

Anche noi usiamo i Cookie

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.