C'è anche un'altra isola, a dire la verità. Sembra impossibile ma è un'ottima rappresentazione in miniatura della follia bipolare che attraversa il Paese negli ultimi mesi. Così, sul medesimo scoglio di mare dove sguaiati urlatori vomitavano i peggiori insulti e le più vigliacche minacce (commettendo una lunga serie di reati) contro la capitana Carola e gli altri salvatori, un’altra Lampedusa, si preparava ancora una volta ad accogliere i naufraghi e l’equipaggio come ad ogni inevitabile e benedetto approdo.

 
"Siete andati a Genova quando è caduto il ponte?"
La domanda, per nulla innocente, viene gridata sguaiatamente da alcuni lampedusani ai parlamentari che erano saliti a bordo della nave Sea Watch, nel momento in cui la capitana, Carola Rackete, approdava finalmente sul molo dell'Isola per fare sbarcare i profughi tratti in salvo giorni prima e ai quali era stato fatto (allora come ora, dal medesimo impunito ministro) divieto di scendere.
Qualche istante prima, dalle registrazioni, si sentono ben chiare, le stesse voci sgraziate formulare impronunciabili minacce, insulti razziali, auguri e istigazione a reati di varia natura: un frasario stomachevole e violento. Il peggio del repertorio razzista, povero di parole e di argomenti ma debordante di becero, demenziale, vomitevole odio.
Dopo aver augurato ogni genere di violenza e offesa sessista a Carola, definita zingara e crucca e destinata a subire stupri di gruppo, gli isolani urlanti se la prendono con i deputati a bordo dell’imbarcazione: "siete andati a Genova quando il ponte è caduto? Le mogli vi devono stuprare. Siete andati a dormire coi terremotati? Coglioni"
Una furia idiota di parole senza senso. Chi chiederebbe mai ad un pompiere che ha appena tratto in salvo da un incendio donne, uomini e bambini: “ma tu l'11 settembre sei andato a prestare soccorso quando sono cadute le Torri Gemelle? E ti sei prodigato a spegnere le fiamme a Notre Dame?” Per poi augurare, neppure ai “diretti interessati” ma alle loro consorti, ree evidentemente di essersi scelte il compagno sbagliato, le peggiori violenze.
Vedere e ascoltare il video di quei minuti di follia sul molo di un’isola già candidata al Nobel per la pace, fa male. Nella mia personale retorica dell’isola (sacra per simbologia e perché ospita alcuni dei miei affetti più cari) non ho mai pensato che l’insularità la preservasse dalle umane perversioni e da drammatiche, scellerate debolezze tra le quali l’ignoranza e il razzismo (che spesso viaggiano insieme). Ma sentire quelle urla mi ha sconcertata e ferita. E non posso neppure immaginare lo sconvolgimento di chi le ha subite in prima persona, vittime e testimoni di tale sorprendente nefandezza.
Uno degli urlatori, facilmente identificato dalle immagini registrate, ha provato a bofonchiare la penosa scusante (ben guardandosi però dal chiedere scusa) del “avevo bevuto troppo”, che se valesse come causa di giustificazione conferirebbe l’immunità a migliaia di cittadini all'ora dell'aperitivo.
Perché i razzisti sono vigliacchi, se stanati piagnucolano e invocano quella pietà di cui sono incapaci.
Per questo una buona strada per metterli a tacere è denunciarli e pretendere il risarcimento dei danni. 
E di danni all’isola, e a tutti noi, i razzisti ne fanno tanti, inquinano e contaminano pericolosamente la nostra faticosa democrazia.
E che non osino più usare la nostra tragedia cittadina per seminare odio. Genova, come stava scritto in uno striscione al primo dolente anniversario del crollo del Ponte “è ferita ma non è stupida”. Ed è, sempre, antirazzista .
 
da Repubblica Genova del 18 agosto 2019

 
Stanca. Torno a casa, dopo molti spostamenti, coincidenze e incontri impegnativi, il tutto in una manciata di ore.
 
Torno con l'ultimo volo della sera, commossa, ancora e sempre, dalla bellezza della nostra città galleggiante, come mi appare dal finestrino all'atterraggio, mentre serafica e luminosa abbraccia il mare.
 
Sono davvero stanca, cosi mi concedo (avendo poche alternative) il lusso di un taxi.
 
Mi sento in dovere, nel silenzio imbarazzato dell'abitacolo, di attaccare bottone.
 
E se sei in taxi a Genova sulla sopraelevata, per giunta a ridosso del primo penoso anniversario del crollo, parlare del Ponte è inevitabile.
 
Lo sguardo e i ricordi ti portano a quel 14 agosto e a tutte le drammatiche conseguenze.
 
Penso ad alta voce ad Iris e agli altri amici o clienti che letteralmente, in quel giorno hanno visto "crollargli il mondo addosso", ma non faccio neppure in tempo a finire una frase che il mio interlocutore, decisamente infastidito ed estraneo a qualsiasi forma di empatia, mi zittisce sostenendo (testuale) che “gli sfollati hanno stufato coi loro piagnistei e i loro comitati”.
 
Vinco lo stupore iniziale e faccio notare che queste persone hanno subito un danno incalcolabile morale oltrechè materiale e che, se è stato uno shock per noi genovesi pure non direttamente coinvolti dal crollo, non è neppure immaginabile lo strazio di chi in quel boato ha perso quasi tutto. Per cercare di farmi capire meglio gli racconto della bimba che ha visto il ponte cadere sopra la sua casa ed rimasta muta per mesi, incapace di verbalizzare il suo sconvolgimento.
 
Insensibile a qualsiasi mia parola il tassista rincara la dose sostenendo, a mo' di vergognosa giustificazione del suo disprezzo, che in via Porro ci abitano solo "poveracci e stranieri, soprattutto stranieri e quindi ancora grazie che il comune gli ha ricomprato casa, visto che comunque non valevano nulla", sottintendendo che un pò se l'erano andata a cercare e che la solidarietà non sarebbe comunque dovuta nei confronti di persone che, secondo il suo personale e discutibile, parametro sarebbero inferiori.
 
Reagisco decisamente alterata e spiego che le persone che hanno fatto enormi sacrifici per acquistare una casa, soffrono quando si trovano sfollati dall'oggi al domani, che siano italiani o stranieri, benestanti o cassaintegrati.
 
Ma il mio conducente (che ormai temo mi scaricherà dall'auto in corsa), sordo a qualsiasi mia, peraltro banale, rimostranza, continua imperterrito a vomitare odio verso quelli che secondo la sua scala gerarchica sono gli ultimi e mi spiega che gli stranieri di sera sono peggio che di giorno (sic), che lui lo sa bene perchè, facendo i turni di notte, li accompagna a spacciare nelle case degli italiani "e poi mi chiedono di aspettarli per continuare la corsa",e non si rende conto della sua, appena confessata, complicità nel reato che tanto lo scandalizza. Scendo dalla vettura un po' prima di arrivare a destinazione, sconvolta da questo irriducibile sfogo di puro, inutile, odio. Guardo la macchina: non c'è la scritta che compare su molti taxi genovesi: "Genova non si arrende". Lui, l’odiatore, si è già evidentemente arreso ed è destinato a perdere.
 
Da Repubblica Genova del 4 Agosto 2019

Anche noi usiamo i Cookie

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.