La giornata del migrante

In contemporanea alla celebrazione della giornata mondiale dei diritti dei migranti istituita dall’Onu succedevano tante cose. Una moltitudine invisibile di profughi perdevano la vita o subivano violenze nelle varie rotte migratorie (come succede purtroppo giornalmente), altri venivano torturati nei lager libici.

Taluni tentavano senza successo di accedere a vie legali di ingresso ma non ottenevano neppure udienza dalle nostre ambasciate.

Alcuni letteralmente congelavano nella rotta balcanica e tanti venivano respinti a Ventimiglia dalla gendarmerie francese.

 

I più fortunati, quelli che erano riusciti a sopravvivere e a giungere in Italia si vedevano notificato il rifiuto di ogni tipo di protezione dalle commissioni territoriali e ad altri ancora venivano cacciati dai centri di accoglienza in virtù (si fa per dire) di una circolare applicativa del decreto sicurezza.

Intanto la nave della comandante Carola Rackete veniva finalmente dissequestrata dai magistrati e poteva tornare a soccorrere vite in mare mentre l’ex ministro degli interni veniva formalmente accusato di sequestro di persona in relazione al blocco della nave Gregoretti con a bordo 131 naufraghi, ordinato l'estate scorsa.

In questi stessi giorni, come sempre, un popolo solidale e silenzioso, continuava instancabilmente ad offrire cibo coperte, tutela e conforto a chiunque ne avesse bisogno, da Lampedusa a Ventimiglia.

Nelle stanze del potere nessuno sembrava seriamente impegnato nella abrogazione, richiesta pure a gran voce da giuristi e società civile, dei letali decreti sicurezza o degli accordi con la Libia sottoscritti dagli ultimi governi.

Papa Francesco in compenso, mostrando il salvagente recuperato tra le onde e ricevuto in dono dai soccorritori del mare, ricordava che è l’ingiustizia che costringe le persone a fuggire dai propri paesi ed è sempre l’ingiustizia che li respinge e li fa morire tra i flutti, ribadendo che il soccorso è un dovere inderogabile e l'ignavia peccato. “Bisogna soccorrere e salvare, perché siamo tutti responsabili della vita del nostro prossimo”

In contemporanea una donna nigeriana manifestava la propria legittima e insindacabile disperazione in un pronto soccorso al capezzale della sua bimba appena deceduta ed il suo pianto incontenibile scatenava l'odio e la ferocia razzista di persone (anche se sembra decisamente parola poca adatta) in attesa di accedere alle cure.

Questa refrattarietà all'empatia, la repulsione oltre che l’indifferenza nei confronti di questa madre appena diventata orfana della sua neonata mi ha fatto risuonare in testa le parole del premio Nobel per la Pace Elie Wiesel sull'indefferenza di Abele alla sofferenza del fratello: "Lui che è responsabile della prostrazione di Caino, non fa niente per aiutarlo. Non si duole di niente, non dice niente... Caino gli parla e lui non ascolta. O ascolta ma non sente. Ecco in cosa Abele è colpevole. Di fronte alla solitudine nessuno ha il diritto di nascondersi, di non vedere. Di fronte all'ingiustizia nessuno deve voltarsi dall'altra parte. Chi soffre ha la precedenza su tutto. La sua sofferenza gli dà un diritto di priorità su di voi. Quando qualcuno piange - e questo qualcuno non siete voi - ha dei diritti su di voi, anche se il suo dolore gli è inflitto dal vostro Dio comune."

La Repubblica di Genova 22 dicembre 2019

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