So che il necessario distacco professionale dovrebbe impedire di utilizzare per i clienti l’espressione “ci metterei la mano sul fuoco”, che pure nel suo caso è quella che più mi viene spontanea. Lo conosco da almeno due lustri, ho visto negli anni le sue figlie crescere, ho letto i loro temi ed esaminato le loro pagelle. Conosco nel dettaglio i suoi studi , i percorsi della sua carriera, i suoi redditi familiari e le innumerevoli attività di volontariato.

Non basta la barriera trasparente di plexiglass (o plexiglas che dir si voglia) e neppure la mascherina chirurgica a proteggerci.

Lui non riesce a guardarmi negli occhi (seppure gli occhi siano l’unica parte del viso che entrambi abbiamo scoperta), fissa un punto tra me e la gamba del tavolo.

Lui non mi guarda, ma io non riesco a scostare il mio sguardo dai suoi occhi abbassati. Non per sfida, per costringerlo in qualche modo a ricambiarmi gli occhi, ma per istintiva attrazione.

 

Chiunque si occupi di immigrazione, chiunque sia più o meno direttamente coinvolto dalle normative in materia di permessi di soggiorno, in questi giorni complessi della fase due, in cui il virus incombe ma bisogna “ripartire”, viene sopraffatto dalla difficoltà di cercare di interpretare l’articolo 103 del cosiddetto decreto rilancio.

Questo articolo che vanta ben 26 commi, infatti, non è di immediata comprensione tanto più se si considera che i destinatari della norma sono (anche e soprattutto) migranti non proprio avvezzi ai tecnicismi del linguaggio giuridico.

Si dice sanare, come se si trattasse di una cura. Ed in effetti dovrebbe essere così: si sana, si guarisce, insieme, restituendo e garantendo dignità e diritti. La malattia, in questo caso, è l'ottusa normativa in tema di immigrazione che non prevede la possibilità permanente, per i "sans papier", di richiedere un permesso di soggiorno che consenta di regolarizzare un rapporto di lavoro o di cercare un'occupazione.

Quasi tutti gli stranieri oggi regolarmente soggiornanti hanno dovuto attraversare una drammatica fase di irregolarità a causa della stoltezza delle nostre leggi.

Ne parlavo in questi giorni con amici visionari come me.

Straziati da racconti sentiti troppe volte, non ci diamo pace: “Sì muore come boccheggiando cercando un fiato d’aria, strappando alla vita ancora un respiro. Si muore annaspando in drammatica solitudine seppure qualcuno tenti, talvolta, un estremo soccorso. Sì muore lontani dagli affetti e senza neppure il conforto di una ricomposizione postuma o di una personale benedizione. Senza nessuno che ricordi le tappe e i valori di tutta quella vita che ha preceduto la morte.

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