Un muro di banalità

Lungomare genovese, clima di insperata vacanza cittadina. Lei è una bella signora sulla settantina, pettinatissima ed elegante nonostante l’umidità.

Si gode una giornata di mare di un’estate che viste le pandemiche premesse va considerata, se non un regalo certamente una fortuna. Si lamenta, la signora elegante.
“Viaggiare e’ diventato impossibile: i costi dei biglietti aerei sono saliti alle stelle, ti fanno stare nei sedili con accanto altre persone senza rispettare il distanziamento di un metro e mezzo e con la scusa del Covid non ti portano neppure da mangiare”. Mi distraggo un attimo presa dalle mie telefonate (un’amica senegalese che organizza una manifestazione per un connazionale morto in circostanze misteriose e un giornalista che vuole raccontarmi dell’ennesimo, tragico naufragio)



La sento ancora lamentarsi, senza soluzione di continuità. Seguendo un suo personale filo logico che, al momento mi sfugge, inizia a protestare contro gli sbarchi dei profughi (anche se lei ovviamente non li chiama così ): “non c’è mica una guerra in Tunisia e questi arrivano belli tranquilli, si portano dietro persino il cane e appena scesi sul molo salutano pure”.

Il mio tempo spendibile nell’ascolto clandestino di questo insensato ma socialmente affascinante monologo è purtroppo scaduto e sono costretta ad allontanarmi prima di sentire il gran finale, che temo non mancherà e che posso solo immaginare:”non possono mica venire tutti qui, non c'è posto per tutti, la pacchia è finita” o altre simili amenità.

Con la replica sulle labbra, impegnate però in una contemporanea conversazione telefonica, mi allontano definitivamente.

Sono rimasta però’, nelle ore successive, con tutto il mio non detto a rigirarmi in testa, avvilita dalla sgradevole sensazione di aver perso pavidamente un’occasione.

Avrei voluto e dovuto dire alla signora che i nostri spostamenti per quanto costosi, perché destinati ad una tipologia di viaggiatori in qualche modo privilegiati, sono decisamente confortevoli e paradossalmente più economici rispetto ai viaggi pericolosissimi ai quali si sottopongono i profughi in cerca di quei diritti che vengono loro negati in patria. Avrei voluto citarle la nostra migliore giurisprudenza “la prova che le condizioni di vita nel Paese di origine sono del tutto inadeguate è in re ipsa. Apparirebbe infatti contraddittoria ed inverosimile la scelta del ricorrente di percorrere un viaggio così tanto lungo, incerto e rischioso per la propria vita, se nel Paese di origine godesse di condizioni di vita sopra la soglia di accettabilità ed adeguatezza.”

Avrei dovuto ricordarle che le convenzioni internazionali in materia di asilo e la nostra Costituzione prevedono l'obbligo di dare protezione non solo a chi scappa da conclamate guerre (che comunque non mancano) ma a tutti coloro che rischiano qualche forma di persecuzione o un danno o minaccia grave a causa di una situazione di violenza generalizzata o che vedono impedito nel loro Paese “l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

Avrei dovuto dirle che la povertà secondo i Principi guida delle Nazioni Unite è di per sé un problema che attiene ai diritti umani e che la Tunisia sta attraversando una gravissima crisi politica economica e sociale tanto che il primo ministro della Tunisia Elyes Fakhfakh il 15 luglio scorso si è dimesso .

Avrei voluto spiegarle che è normale che chi scappa, se può, porti con sé i suoi affetti più cari e che normalmente i quadrupedi ci inteneriscono ma evidentemente anche loro se stranieri subiscono discriminazione nel nostro paese.

E che un saluto alla terra che ti accoglie e alla gente che ti ha salvato è segno di gratitudine e rispetto, non di arroganza.

Ma me ne sono andata e me ne vergogno ancora.

La Repubblica di Genova 2 agosto 2020

 

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