La solidarietà contro le paure

Abbiamo paura

Paura ovviamente di ammalarci, di essere fatalmente investiti da una di quelle pericolosissime microparticelle di saliva che tutti sembrano ormai spruzzare contro di noi.

Abbiamo paura della vicinanza che rende il contagio possibile.



Abbiamo paura per i nostri cari e di più per i nostri anziani che abbiamo tentato di proteggere come cosa sacra ma che ora più che mai ci sembrano fragilissimi. Abbiamo paura della distanza che dobbiamo adottare come misura di sicurezza per chi amiamo. Abbiamo paura del dolore e dell’assenza. Abbiamo paura del nostro presente fatto di tempi lunghi, disabitati, uguali e vuoti, di interminabili file distanziate, telefonate, incessante attività di ossessiva e scaramantica disinfezione. Abbiamo paura di finire le scorte, di qualsiasi bene si tratti.

Abbiamo paura della calca e siamo angosciati dalla solitudine.

Abbiamo paura di scoprire di non avere il controllo, e di non averlo mai realmente avuto, delle nostre azioni che pure ci sembravano così ben determinate, e delle loro conseguenze.

Abbiamo paura di essere controllati, spiati, giudicati, sanzionati, internati.

Abbiamo terrore che questo stato d'eccezione ci prenda la mano.

Abbiamo paura del futuro, con tutte le sue varianti , le perdite e i conti, non solo economici, che ci presenterà .

Abbiamo paura di perdere la voglia, le buone energie e le capacità disallenate dall’inerzia.

Abbiamo paura di quanto sarà faticoso trovare un modo per galleggiare, per lavorare, per tenere ancora insieme i cocci delle nostre esistenze con l’unica certezza che nulla sarà come prima .

Abbiamo paura di perdere libertà e democrazia faticosamente acquisite da altri prima di noi.

Abbiamo paura che in nome della sicurezza ci vengano sottratti diritti. Abbiamo paura che ci convincano a invocare quella sicurezza . Abbiamo paura di abituarci .

I più sensibili hanno paura per i più deboli. Quelli che, come sempre, pagano il conto più alto: i precari, gli indigenti, i senza dimora, gli irregolari per cittadinanza, mala sorte o vocazione, i malati, gli schiavizzati, i profughi in attesa di un porto o di accoglienza, i braccianti, i reclusi, le donne e i minori vittime di violenza domestica, le persone con disagi e sofferenze mentali, i disabili, gli esclusi, gli emarginati, i soli.

Alcuni di noi, seppure poco allenati, riescono a trasformare questa paura in empatia.

Intuiamo, fatte le dovute proporzioni, cosa significa essere, seppure parzialmente e comodamente, “reclusi”. E ci preoccupiamo per chi, imprigionato veramente, condivide spazi angusti e insalubri in celle perennemente sovraffollate. Percepiamo la rabbia e il terrore di chi non può neppure illudersi di gestire e proteggersi dalla pandemia perché in carcere, come nei centri di rimpatrio, ogni azione dipende dagli altri.

Intralciati da frontiere mentre cerchiamo di fare rientrare a casa amici sparsi per il globo terrestre perché possano unirsi a noi nella nostra quarantena, diventiamo d’un tratto consapevoli e insofferenti della malignità dei confini, letale ostacolo per le persone ma inesistente barriera per i virus, le armi e altri malanni.

Comprendiamo finalmente, sopraffatti dalla generosità di operatori sanitari, Ong, comunità straniere che offrono mascherine, tamponi e competenze, il valore della parola agita “solidarietà”

Per aiutarci a gestire le nostre paure è nato un gruppo di soccorso psicologico gratuito che risponde al numero 3421700486 (mail centropsicoanalitico.genovQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).

A loro la nostra gratitudine.

La Repubblica di Genova 29 marzo 2020

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