Memoria

 

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A vederli così fanno davvero una certa impressione. Mescolati nel corteo, muti, dolentemente fieri e concentrati. Consapevoli della sacralità del ruolo affidatogli, ergono, senza sforzo ma con empatica sofferenza, un cartello indicante il nome, tristemente noto, di qualcuno dei vari campi di concentramento nazisti. Alti e neri. Profughi residenti nella nostra città e parte integrante della nostra comunità, tanto da partecipare, attivamente, alla marcia per la memoria organizzata, come ogni anno, dalla Comunità ebraica di Genova insieme con la Comunità di Sant'Egidio ed al Centro Culturale Primo Levi per ricordare le vittime “genovesi“ della follia fascio-nazista deportate il 3 novembre di 75 anni fa.

Il corteo colorato e mesto marcia silenzioso sino alla sinagoga dove parole, musica corale e una qualche forma di amicizia avvolgono i cittadini “memori”. Nei discorsi pubblici e privati dentro e fuori la sinagoga si percepisce, più o meno aspra, l’allarmata preoccupazione per i tempi faticosi ed inquietanti che stiamo vivendo, così simili a quelli nei quali fu possibile seminare e coltivare il pensiero fascista e l’ideologia razzista. La necessità di una memoria viva e intransigente, il bisogno di un'amicizia nella rete cittadina e tra i popoli ed un monito perentorio contro l’indifferenza sono i motivi ricorrenti di questo incontro.

Avevo partecipato altre volte alla giornata della memoria, ma mai come quest’anno la memoria ci ha parlato del futuro più che del passato. Ascoltare ed immaginare tra le mura della sinagoga, stipata da ebrei, musulmani, cattolici, profughi, migranti e giovanissimi studenti, quale deve essere stato il dolore sbigottito provato 75 anni prima e da altri cittadini traditi dalla patria in cui vivevano, ha portato inevitabilmente a pensare alla sofferenza incredula, alla sbigottita lacerazione, patita da quanti vengono abbandonati, respinti, rifiutati o espulsi magari verso luoghi di tortura e campi di detenzione in Libia che le corti internazionali non stentano a definire lager.


Anche per questo i ricordi di Padre Eugene, superstite del genocidio del Ruanda nel quale ha perso il padre, la sorella, gli zii, la nonna e i cugini, suonano come un accorato appello o meglio come un perentorio monito:“Ho vissuto sulla mia pelle le conseguenze della mancanza delle memoria”.

Noi italiani siamo smemorati e distratti. E molto spesso auto indulgenti: con la scusa degli “italiani brava gente" abbiamo compiuto atti incedenti e sottoscritto leggi scellerate e non ne proviamo la giusta vergogna. Anzi.

Stiamo perpetrando le stesse infamie e ostentando la stessa indifferenza di ottanta anni fa.

Ma non tutti. Anche oggi abbiamo la responsabilità e la possibilità delle scelte individuali.

Mentre scrivo è la vigilia di una straordinaria manifestazione nazionale che si terrà a Roma e alla quale hanno già aderito 220 realtà associative e migliaia di persone che si sposteranno da oltre 50 città, dal titolo programmaticamente perfetto: “indivisibili”.

Come i diritti.

Riempire le piazze, difendere sempre e in ogni circostanza le persone vittime di insulti e discriminazioni, informarsi e informare, palesare e argomentare il proprio preoccupato dissenso nei confronti del decreto sicurezza anti umanità, sono buoni modi per scegliere da che parte stare. Perché a volte le persone, come ha detto la coraggiosa signora difendendo un migrante dal suo aggressore su un bus, non sono razziste ma solo stronze. Ma a volte i due difetti possono pure coesistere. E possono generare leggi inique e vergognose.

 

da Repubblica Genova

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