Ho il privilegio di “assistere”, o, per meglio dire, di combattere al fianco di persone di rara umanità e incredibile spessore. Con alcune di loro la relazione è divenuta così intensa e affettuosa da non poter stare più imbrigliata nel classico rapporto “avvocato / cliente”.
Lungi dall'essere “vittime” nell'accezione comune e svilente del termine, questi miei "assistiti" sono persone straordinarie alle quali è stato inflitto, per opera di uomini indegni, poteri occulti, pessima sorte, il supplizio di subire ingiustizie intollerabili, ma che hanno saputo mettere al servizio della comunità la loro dolorosa e faticosissima ricerca di verità e giustizia.
La loro tenace battaglia non è tesa ad ottenere una qualche, comunque inadeguata, riparazione, essendo il danno subito cosi lacerante da essere, in molti casi irreparabile, ma nella ostinata e quasi religiosa speranza che il ripristino almeno della verità e la conquista della giustizia, seppure tardiva e parziale, contribuiscano a dare voce ad altri “offesi” con meno risorse e rendano più difficile il reiterarsi di ulteriori torti.
Queste persone sono straordinarie non solo nella resistente dignità con la quale portano avanti le loro, anzi nostre, battaglie, ma anche nella generosità con la quale si espongono per “assistere” a loro volta altre creature, spesso sconosciute, violate nei diritti che si vorrebbero intangibili. E con la medesima prodiga umanità capita che si sostengano reciprocamente.
Ne resto commossa.
Ho sempre creduto che il dolore rendesse egoisti. Troppo occupati a soffrire non si può riuscire, pensavo, a prestare attenzione anche al dolore degli altri, ci si indurisce di rabbia e nulla riesce più a filtrare nella coscienza se non sterile risentimento e astiosa indignazione. Sbagliavo.
Loro non cedono al rancore tipico di chi crede, anche a ragion veduta, di vantare un credito con la vita e chi la abita, ma trasformano il fardello della loro personale tragedia in un'ancora di salvezza per altri sventurati naviganti.
Ma anche questa generosità, in qualche modo, è profondamente ingiusta. Non dovrebbero essere loro a esporsi, a raccontare, a rivivere le offese, a condividere pubblicamente l'intimità di un dolore privato. Non dovrebbero essere loro, già estenuati e straziati, a combattere. Eppure è cosi.
Però, tra loro, si possono creare costruttive e inedite alleanze. E ti sembra che possano, insieme, divenire invincibili o quantomeno irresistibili.
Loro intimamente conoscono e sono dimostrazione vivente ed esempio lampante della magia dei diritti umani che non funzionano per quote né per sottrazioni, ma al contrario per addizione. Di più: si moltiplicano, come per contagio. E dunque chi lotta per un “suo” diritto leso, inevitabilmente si batte per i diritti di tutti e viceversa. Diversamente non si parlerebbe di diritti, ma di privilegi.
A Genova il 5 giugno, nella sede di Music for Peace, sarà possibile incontrare alcune di queste persone eccezionali in un dibattito pubblico al quale parteciperanno, accompagnati da Luigi Manconi (direttore dell'Unar), Beppe Giulietti (presidente della FNSI) Sandro Vaccaro, presidente dell'ordine degli avvocati di Genova: Paola e Claudio Regeni, i familiari di Andy Rocchelli (il fotoreporter ucciso il 24 maggio 2014, insieme al collega russo Andrey Mironov, in Donbass), Romina Cavatassi, sorella di Denis, condannato alla pena di morte per un reato che non ha commesso e detenuto in condizioni inumane in Thailandia e Mauro Donato fotoreporter recentemente liberato dopo essere stato incarcerato, a causa di un errore di persona, in Serbia, dove si era recato per documentare la difficile vita dei profughi nella rotta Balcanica.
E quale ambiente poteva essere più adatto per accoglierli e consentire di “offrire” la loro eroica umanità alla città, se non il Festival di Music for Peace, dove il biglietto di ingresso si “paga” non in denaro ma in generi di prima necessità che poi verranno distribuiti alle famiglie liguri in difficoltà o portati alla popolazione di Gaza?
da Repubblica, Genova 20 maggio 2018