Contro le ingiustizie e le repressioni servono voci e mani coraggiose

Abbiamo bisogno di voci coraggiose di eroi comuni che si oppongano all'ingiustizia e alla repressione", questo è l'invito di Salil Shetty, Segretario Generale di Amnesty International in apertura dell'ultimo numero della rivista trimestrale della nota organizzazione umanitaria. Aggiungerei a questa accorata richiesta, oltre alle voci coraggiose, il bisogno di mani, altrettanto impavide.

Amnesty ci insegna che è necessario vigilare e denunciare le violazioni dei diritti umani, ma un buon modo per offrire "riparo" contro le ingiustizie e le disuguaglianze, in un periodo mai cosi nero, come ricorda Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, in alcuni contesti, può realizzarsi "semplicemente" distribuendo coperte, ospitalità, salvagenti, cibo, bevande, passaggi, sorrisi, consigli e soccorso a chi ha bisogno. 

Eppure, in questo mondo capovolto, in questi tempi di odio e ignoranza, anche questi gesti, apparentemente normali che dovrebbero essere istintivi, consuetudinari, divengono straordinari ed in qualche forma, eroici.
Specialmente in queste settimane, o meglio mesi, nei quali assistiamo a vere persecuzioni mediatiche e istituzionali contro coloro che compiono atti di doverosa solidarità, siano essi gli equipaggi delle navi di salvataggio delle Ong nel mar Mediterraneo, gli attivisti nei luoghi di frontiera o i solidali che accolgono nelle loro case o accompagnano con le loro vetture persone in fuga in "direzione ostinata e contraria" come direbbe De andrè.

Queste mani e voci coraggiose infatti, con la loro "banalità del bene", non sono solo scomodi testimoni delle ingiustizie alle quali cercano di porre rimedio, ma ci ricordano con le loro azioni l'inottollerabilità di tali  ingiustizie ed il dovere di combatterle e per questo, nel mondo capovolto in cui viviamo, c'e' chi li vorrebbe punire, 

Giovedi  alla Feltrinelli di Genova è stato presentato l'ultimo rapporto annuale di Amnesty International, un libro necessario che fotografa, senza fare sconti, la condizione, spesso non proprio di "buona salute", dei diritti umani in 159 Paesi, tra i quali il nostro. Per i giuristi che si occupano di profughi e migranti è un testo quasi sacro perchè dettaglia, con il rigore delle organizzazioni indipendenti e la scentificità degli esperti, la situzione dei luoghi di provenienza delle persone che cercano, spesso invano, tutela nella fortezza Europa.
Ma non è una lettura per soli giuristi. Insegnanti, giornalisti, sociologi, chiunque abbia a cuore il benessere dei diritti, anche solo dei propri, non può non appassionarsi a questa lettura.
Come ripetono tutte le persone che in un modo o nell'altro tentano di offrire tutela a persone private dei loro diritti, occuparsi di diritti umani, combattere le ingiustizie e le disuguaglianze, sono attività spesso estenuanti che si compiono non per bontà ma quasi per egoismo. Chi, come i volontari Amnesty, i medici senza frontiere che salvano vite in mare, i solidali a Ventimiglia, gli attivisti a Lampedusa e tantissimi altri che in silenzio e anonimato spendono energie e tempo per riparare torti, lo fanno perché sanno o in qualche modo "sentono" che i diritti sono indivisibili e che laddove è permesso violare quelli di alcuni la ferita che si crea in quel sistema giuridico o valoriale riguarda tutti. In uno Stato in cui è consentito fare annegare i bambini, rinchiudere per settimane o mesi, in assenza di legge e convalide giudiziarie, esseri umani in gabbie dove neppure gli animali dovrebbero stare, o compiere respingimenti di massa verso Paesi dittatoriali, rifiutare, istigare all'odio e alla disperazione, emarginare, fomentare insicurezza e rabbia, perseguitare i solidali e criminalizzare la solidarietà, in uno Stato così, nessuno, ma proprio nessuno, può sentitrsi sicuro. 
Leggere il rapporto o i comunicati di Amnesty, parlare con gli attivisti e i volontari dei luoghi di frontiera o delle Ong che effettuano salvataggi è un toccasana: serve si a ricordarci che il mondo rischia di diventare di anno in anno "un posto più cupo e più instabile" ma anche che è possibile, anzi doveroso, vigilare, denunciare, difendere. E godere di questa possibilità, adempiere a questo dovere, è un'imperdibile opportunità.

da Repubblica, Genova, 27 maggio 2017

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