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Alessandra Ballerini
10 Giugno 2025
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Tribunale di Genova: riconoscimento dello status di rifugiata a cittadina ivoriana vittima di tratta

Tribunale di Genova 09 giugno 2025

"La Convenzione del Consiglio d’Europa n. 197 sulla lotta alla tratta di esseri umani, approvata a Varsavia il 16.5.2005, nata con lo scopo di “rafforzare la protezione stabilita dal Protocollo e di sviluppare le disposizioni ivi contenute”, fornisce una definizione di “tratta di esseri umani” analoga a quella del Protocollo ONU. La Direttiva 2011/36/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5.4.2011 concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, definisce la tratta di esseri umani (art. 2) “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggi o l’accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell’autorità su queste persone, con la minaccia dell’uso o con l’uso stesso della forza o di altre forme di coercizione, con il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di potere o della posizione di vulnerabilità o con l’offerta o l’accettazione di somme di denaro o di vantaggi per ottenere il consenso di una persona su un’altra, a fini di sfruttamento”. Lo sfruttamento comprende, come minimo, “lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o servizi forzati, compreso l’accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di organi”. Per posizione di vulnerabilità si intende una situazione in cui la persona in questione non ha altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all’abuso di cui è vittima (art. 2, co. 2). Quanto all’appartenenza della richiedente ad un particolare gruppo sociale, si osserva che12: - le donne costituiscono un esempio di un sottoinsieme sociale di individui che sono definiti da caratteristiche innate e immutabili e sono spesso trattate in modo diverso rispetto agli uomini. In questo senso esse possono essere considerate un particolare gruppo sociale; - i fattori che possono distinguere le donne come obiettivi dei trafficanti sono generalmente connessi alla loro vulnerabilità in determinati contesti sociali; pertanto, alcuni sottoinsiemi di donne possono anche costituire particolari gruppi sociali. Il fatto di appartenere a un simile gruppo sociale potrebbe essere uno dei fattori che contribuisce al timore dell’individuo di essere oggetto di persecuzione, ad esempio di sfruttamento sessuale, come conseguenza dell’essere, o del timore di diventare, vittima di tratta; - coloro che sono stati vittima di tratta in passato potrebbero anche essere considerati come un gruppo sociale basato sulla caratteristica immutabile, comune e storica dell’essere stati vittime di tratta. Una società potrebbe inoltre, in base al contesto, considerare le persone che sono state vittime di tratta come un gruppo riconoscibile all’interno di quella società. In virtù di tutti gli elementi sopra esposti, il Collegio ritiene che la ricorrente sia da considerarsi vittima di tratta. Appurata l’esperienza di tratta vissuta dalla ricorrente, è necessario, ai fini della decisione sulla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, valutare con un giudizio prognostico se sussista, in caso di rientro in Costa d’Avorio, un serio rischio di subire ulteriori atti persecutori per uno dei motivi indicati dalla normativa internazionale e interna, nella specie l’appartenenza a un particolare gruppo sociale. A mente dell’art. 3 co. 4 del d. lgs. 251/2007, infatti, le persecuzioni e i danni già subiti non valgono, da soli considerati, a fondare il riconoscimento della protezione, potendo però rappresentare un “serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire gravi danni”. Ebbene, rileva il Collegio che, alla luce della storia della ricorrente, della già vissuta esperienza di tratta, del suo contesto familiare e di quello nel Paese di origine, la ricorrente possa essere vittima di re-trafficking, di altre forme di sfruttamento o di grave discriminazione ed isolamento sociale. Infatti, la mancanza di sostegno economico e l’isolamento che subiscono le vittime ritornate presso le proprie comunità comporta che il tentativo di una nuova migrazione sia, per molte, una scelta forzata. A ciò va anche aggiunta la circostanza che Melanie ha riferito di una ampia organizzazione nell’ambito della quale operava efficientemente e con scaltrezza la zia con frequenti contatti anche telefonici con molte figure maschili tanto che le è stato subito consigliato dagli operatori del CAS di gettare la sim-card per rendersi irreperibile/irraggiungibile. Va inoltre considerato che, in caso di rientro in Costa d’Avorio, la ricorrente si ritroverebbe in una situazione ancora deteriore rispetto alle condizioni di partenza, priva di strumenti economici e sociali adeguati ad affrontare un percorso di reinserimento come donna indipendente all’interno della propria comunità di origine, ed ulteriormente gravata dall’età non più giovane maturata. Di conseguenza, sarebbe nuovamente esposta al rischio di tornare vittima di trafficanti o di pressioni da parte dei propri familiari (in primis la cd. zia e verosimilmente ancora in vita, la madre) in ordine ai quali permangono dubbi sul reale coinvolgimento nella fase di reclutamento, alla luce degli elementi già esposti. Infatti, dalle fonti ECOI acquisite d’ufficio, relativamente alle vittime di tratta ritornate in Costa d’Avorio, emerge che, al loro ritorno, le donne possono subire una doppia discriminazione, in quanto donne e in quanto migranti di ritorno (che hanno rinunciato al loro progetto di migrazione). Le migranti ivoriane di ritorno sono stigmatizzate dagli amici, dai familiari e dalla società, soprattutto se rimangono incinte durante il viaggio, volontariamente o con la forza.
 
Il rientro in Costa d’Avorio comporta, quindi, il ritorno ad una situazione economica ancora più precaria di quella precedente alla partenza. Tutti questi fattori (la stigmatizzazione sociale e la difficoltà di integrazione sociale ed economica) possono tendere a incoraggiare i rimpatriati a rimettersi in viaggio, considerato altresì che il governo non soddisfa pienamente gli standard minimi per l'eliminazione del traffico di esseri umani, nonostante il compimento di sforzi per contrastarlo. Benché la tratta di esseri umani sia vietata dalla nuova Costituzione, infatti, i programmi del governo per le vittime della tratta non sono ritenuti adeguati. Nonostante il Governo della Costa d’Avorio abbia compiuto progressi significativi nella lotta alla tratta di esseri umani, persistono importanti carenze che gli impediscono di soddisfare pienamente gli standard minimi richiesti. Tra le azioni intraprese vi sono l’identificazione di un numero maggiore di vittime, l’implementazione del Meccanismo Nazionale di Referral (NRM), l’avvio di un programma per l’assistenza ai soggetti vulnerabili, nonché l’intensificazione delle indagini e dei procedimenti giudiziari per reati legati alla tratta. Il governo ha inoltre adottato un nuovo Piano d’Azione Nazionale (NAP) contro la tratta e ha stanziato risorse dedicate al funzionamento del Comitato Nazionale per la Lotta contro la Tratta di Persone (CNLTP). Si è registrato un aumento del numero di indagini, processi e condanne nei confronti dei trafficanti, segnando un chiaro incremento dell’impegno istituzionale rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, permangono gravi criticità in settori chiave che, tutt’ora non hanno raggiunto gli standard minimi: i servizi di accoglienza e assistenza, in particolare per le vittime adulte, restano gravemente insufficienti, le forze dell’ordine non dispongono di formazione specializzata né di risorse adeguate per condurre indagini approfondite e per identificare tempestivamente le vittime, gli ispettori del lavoro non hanno rilevato alcun caso di tratta minorile, neanche in comparti notoriamente vulnerabili come quello del cacao, il CNLTP, nonostante il suo ruolo centrale, è ancora privo dell’autorità e delle risorse necessarie per coordinare in modo efficace la risposta nazionale alla tratta . Deve pertanto accogliersi la domanda principale e riconoscersi all’odierna richiedente lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 1A della Convenzione di Ginevra."
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