"La situazione socio politica di assoluta emergenza nell'Edo State, le gravi sofferenze subite per arrivare in Italia e i maltrattamenti in Libia legittimano la tutela umanitaria"

Tribunale di Genova, ord. 15 gennaio 2018

 

"Si ritiene che meriti invece accoglimento la domanda del ricorrente di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerata innanzitutto la situazione della zona della Nigeria dalla quale proviene, che pur non integrando, una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto interno od internazionale e non sussistendo quindi i presupposti applicativi dell’art. 14, lettera c) del decreto legislativo 2007 n. 251 come sopra definiti, resta tuttavia assai delicata. 


Anche quella zona della Nigeria era al momento della fuga del ricorrente ed è tuttora in una situazione socio politica di assoluta emergenza, con elevati livelli di criminalità, senza una sufficiente presenza di autorità statale che possa garantire un minimo livello di rispetto della legalità. Dalle notizie diffuse da diversi siti internet, anche di livello istituzionale, emerge tale indiscutibile quadro assai poco rassicurante, come riconosciuto anche da diversi provvedimenti, per esempio, dei Tribunali di Roma, Bologna e Trieste, oltreché di questo Tribunale. Nei rapporti di Amnesty International viene evidenziato come “la corruzione dilagante e il mancato rispetto delle debite procedure e dello stato di diritto hanno continuato a pesare sul sistema giudiziario nigeriano. Molte persone sono state arbitrariamente arrestate e detenute per mesi senza accusa. La polizia ha continuato a pretendere denaro in cambio del loro rilascio. Molti detenuti sono stati trattenuti in attesa di giudizio per lunghi periodi, in condizioni deplorevoli. Le procedure dei Tribunale sono rimaste lente e hanno generato una diffusa sfiducia. Secondo il segretario generale dell’Nhrc, più del 70 per cento delle persone che si trovano in detenzione erano o in attesa di processo o di giudizio. La polizia e le forze di sicurezza hanno spesso ignorato le ordinanze dei tribunale”.
Appare dunque verosimile, anche alla luce delle gravi sofferenze subite dal ricorrente per arrivare in Italia, lo stesso ha attraversato vari paese per poi giungere in Libia, dove ha tra l’altro subito gravi maltrattamenti, del tempo trascorso dall’allontanamento dal suo paese e dalla predetta grave situazione della sua zona di origine, che il ricorrente, se tornasse nel suo paese, incontrerebbe non solo le difficoltà tipiche di un nuovo radicamento territoriale ma si troverebbe in una condizione di specifica ed estrema vulnerabilità, idonea a pregiudicare la sua possibilità di esercitare i diritti fondamentali, legati anche solo alle scelte di vita quotidiana, quindi nella condizione richiamata dai principi espressi dalla corte di cassazione nella sentenza n. 3347 del 2015. D’altra parte in Italia il ricorrente ha dimostrato di aver intrapreso un significativo percorso di integrazione sociale, in particolare ha seguito corsi scolastici, ha svolto attività di volontariato ed ha reperito regolari attività di lavoro, attività che tuttora proficuamente svolge ed ha potuto fruire dei necessari accertamenti e cure sanitari in relazione ai propri gravi problemi di salute, come emerge dai numerosi e congrui documenti prodotti."

 

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