"PROTEZIONE UMANITARIA A CITTADINO MALIANO: La storia del ricorrente, il suo percorso d'integrazione e la gravissima insicurezza del Mali giustificano la protezione umanitaria."

Tribunale di Genova, 5 Novembre 2019

"Nel ritenere la posizione del ricorrente rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 5 comma 6 d.lgs. 286/98, occorre tenere conto: a) della storia personale, che – seppur non riconducibile alle maggior forme di protezione – lo porta suo malgrado a lasciare il proprio Paese contro la sua volontà. Il ricorrente è infatti rimasto orfano di padre in giovane età e, in assenza di un sistema di socio assistenziale nel suo paese, non ha potuto proseguire gli studi e neppure ha potuto chiedere ed ottenere adeguata tutela dei propri diritti quando è stato mandato, ancora bambino, a lavorare in condizioni di semi-schiavitù come pastore. In questa situazione, diciottenne, ha provato a raggiungere il fratello maggiore a Gao da dove se ne è dovuto andare per i soprusi subiti dai ribelli che gli hanno incendiato la sua attività. In questa situazione complessiva il ricorrente si è trovato nella sostanziale necessità di tentare una strada alternativa, lasciando il Paese. b) della situazione di gravissima insicurezza e tensione nel Mali, assumendo rilevanza la situazione di violazione dei diritti, confermata dagli ultimi report richiamati.

c) del percorso di inserimento ed integrazione nel tessuto socio-culturale italiano, come risulta dalla documentazione prodotta in udienza ed in particolare: il ricorrente, oltre ad avere dato prova di essere impegnato nell’apprendimento dell’italiano seppure in forma ancora modesta verosimilmente in ragione delle condizioni di semi-analfabetismo, è riuscito a reperire in autonomia un lavoro per quanto irregolarmente gestito dal punto di vista contributivo, sussistendo l’ obiettiva speranza di una evoluzione in melius con un permesso per motivi di lavoro (cfr:Cass., ord. 7 luglio 2014, n. 15466; Cass. 19 febbraio 2015, n. 3347, cass.civ.sez.I 4455/18, Cass. 6879 del 2011; 4139 del 2011; 24544 del 2011; Cass. ord. 23 maggio 2013, n. 12751). Un percorso che verrebbe vanificato in caso di rientro forzato in Mali. In tale situazione, se il richiedente tornasse nel suo Paese, incontrerebbe non solo le difficoltà tipiche di un nuovo radicamento territoriale ma si troverebbe in una condizione di specifica ed estrema vulnerabilità, idonea a pregiudicare la sua possibilità di esercitare i diritti fondamentali, legati anche solo alle scelte di vita quotidiana."

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