PROTEZIONE UMANITARIA RICONOSCIUTA A CITTADINO MALIANO- Il cd Decreto Sicurezza non si applica ai procedimenti instaurati prima del 4 ottobre 2018

Tribunale di Genova, provvedimento 23 ottobre 2018

"Non applicabilità al presente giudizio delle norme del c.d. decreto sicurezza
riguardanti la protezione umanitaria.

Preliminarmente deve essere affrontata la problematica
relativa all’entrata in vigore del DL n. 113/18 del 4.10.18 pubblicato sulla G.U. del 4.10.18 ed
in vigore dal 5.10.18, in relazione al presente procedimento. Il decreto, tra le altre cose, ha
infatti modificato l’art. 5/6° comma T.U.Imm. e l’art. 32/3° comma legge 25/08, invocati da
parte ricorrente, abrogando la protezione umanitaria con la contestuale introduzione di nuove
ipotesi di permessi di soggiorno per protezione speciale o per casi speciali.
Trattasi di un caso di successione di norme nel tempo di natura sostanziale senza che il
testo del DL abbia previsto una disciplina di diritto intertemporale. Si impone pertanto il
ricorso ai principi generali di cui all’art. 11 disp.prel. c.c.
Nella risoluzione dei conflitti tra norme nel tempo a norma dell’art. 11 cit., la Corte
Suprema afferma che “il principio dell'irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa
essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti
anteriormente ed ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato
o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso..” (…lo stesso
principio comporta, invece, che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni
esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato,
quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in
se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti
escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore: cfr.
Cass. Civ. Sez. I, 3.7.13, n. 16620, Cass. SSUU 2926/67, 2433/00 e 14073/02).
Ciò premesso, in materia di protezione internazionale la giurisprudenza da tempo ha
evidenziato la natura di situazione giuridica soggettiva posta alla base della domanda di
accertamento del diritto al permesso di soggiorno umanitario, tanto da aver ritenuto la natura
dichiarativa e non costitutiva del provvedimento di accoglimento della domanda (Cass. SS.UU.
11535/09).
A tali conclusioni la Corte è pervenuta anche rispetto alle situazioni del diritto di asilo e di
quello al riconoscimento dello status di rifugiato, rispetto alle quali appunto il provvedimento
giurisdizionale non ha natura costitutiva, ma dichiarativa, riconoscendo quindi l’identità di
natura giuridica del diritto alla protezione umanitaria, del diritto allo status di rifugiato e del
diritto costituzionale di asilo, in quanto situazioni tutte riconducibili alla categoria dei diritti umani fondamentali (cfr. Cass. n. 4764/1997, 907/1999, 5055/2002, 8423 e 11441/2004; Cass.
Civ. Sez. I, 4455/18).
Si è anche detto che i «seri motivi» di carattere umanitario (o risultanti da obblighi
costituzionali o internazionali dello Stato italiano) alla ricorrenza dei quali, a norma del
previgente art. 5/6° comma cit., lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio
del permesso di soggiorno per motivi umanitari sono accomunati dal fine di tutelare situazioni
di vulnerabilità attuali o accertate, con giudizio prognostico, come conseguenza discendente dal
rimpatrio dello straniero, in presenza di un'esigenza qualificabile come umanitaria, concernente
diritti umani fondamentali protetti a livello costituzionale e internazionale (cfr. Cass., sez. un.,
19393/2009 Cass., sez. un., n. 5059/2017).
Secondo tali principi, infatti, devono essere valutate circostanze preesistenti alla domanda,
ovvero l'esistenza e l'entità della lesione dei diritti fondamentali partendo dalla situazione
oggettiva del paese di origine correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione
della partenza/fuga, perché è intrinseca alla ratio stessa della protezione umanitaria, la
rappresentazione di una condizione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani che
abbia giustificato l'allontanamento dal paese di origine. La valutazione sull’inserimento sociale e
lavorativo dello straniero in Italia può essere quindi valorizzato come ulteriore presupposto
della protezione umanitaria e non in via esclusiva.
Appurata la natura di diritto soggettivo configurabile sulla base di fatti preesistenti, in
applicazione del principio generale di irretroattività come sopra esposto, la legge nuova non
può essere applicata al presente procedimento in quanto riferito a diritto/rapporto giuridico
sorto anteriormente al 5.10.18 (con domanda giudiziale presentata il 16.11.2017).
L’esclusione dell’applicabilità del D.L. 113/18 al giudizio in corso si impone anche alla luce
di un’interpretazione costituzionalmente orientata del medesimo (ed in particolare delle
disposizioni dell’art. 1 che modificano l’art. 5/6° comma T.U.Imm. e l’art. 32/3° comma legge
25/08), giacché il far dipendere il riconoscimento o meno di un diritto soggettivo, riconducibile
alla categoria dei diritti umani fondamentali, dalla durata del giudizio –ovvero da una variabile
indipendente, collegata ai carichi di lavoro dell’Ufficio presso cui pende il giudizio e dalla
struttura organizzativa che questo si è data- si porrebbe in contrasto con il principio di
uguaglianza.
4.2 L’art. 5 comma 6 d.lgs. 286/98 non definisce i gravi motivi di carattere umanitario che
possono impedire il rientro del richiedente nel suo paese di origine e che gli stessi vengono
generalmente ricondotti a significativi fattori soggettivi di vulnerabilità, quali. particolari
motivi di salute, ragioni di età, traumi subiti tali da lasciare traccia nella personalità del
richiedente, un significativo percorso di integrazione nel nostro paese) ovvero a fattori
oggettivi di vulnerabilità, che possono essere legati a guerre civili, a rivolgimenti violenti di
regime, a conflitti interni, a catastrofi naturali, a rischi di tortura o di trattamenti degradanti ed
altre gravi e reiterate violazioni dei diritti umani nel Paese di origine.
Ciò posto, occorre tenere conto:
- della situazione di conflitto e di violenza in Mali. I più recenti rapporti delle
organizzazioni internazionali evidenziano una mancanza di stabilizzazione della generale
situazione politica del Mali, data dalla persistenza del conflitto armato interno nel nord del paese, nonostante la firma di un accordo di pace. In varie parti del paese i gruppi armati hanno
continuato a commettere abusi e crimini di diritto internazionale (V. ultimo Rapporto Amnesty
International).

 

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