Non solo mimose...

Oggi è l'8 marzo... Visto che la strada dei diritti delle Donne, dalle origini ai giorni nostri, è sempre in salita, pubblico una lettera preparata con l'Associazione "Usciamo dal silenzio" contro la candidatura del sindaco di Montalto di Castro. A tutte le lettrici indignate chiedo la sottoscrizione. E a seguire un contributo di Mirco Volpedo (carissimo amico scrittore) sulla storia dell'8 marzo per capirne le origini.
Festeggiamo i diritti conquistati e lottiamo per tenerceli stretti e, magari, acquistarne di nuovi.
Auguri a tutte!

Alessandra Ballerini Firma


Ai Dirigenti del Partito Democratico
Alle cittadine ai cittadini di Montalto di CASTRO

La violenza sessuale contro le donne è uno dei tanti mali di cui soffre il nostro Paese. Ed è in pericoloso aumento.
Tante sono state le lotte delle donne dagli anni settanta in poi per rendere il reato di stupro non un reato contro la morale, ma contro la persona, per fare prendere coscienza alle vittime che la causa di tale feroce violenza non era e non è in loro ma che al contrario è imputabile all'educazione, alla morale e alla cultura patriarcale che all'uomo permette ogni cosa relegando la donna in ruoli e stereotipi ben definiti.
Abbiamo ottenuto una buona legge che andrebbe migliorata, ma che di sicuro è una pietra miliare nel percorso del riconoscimento della nostra dignità e dell'autodeterminazione del nostro corpo.
Noi donne liguri appartenenti a varie associazioni siamo indignate per la candidatura del sindaco di Montalto di Castro, sindaco di cui chiedemmo già le dimissioni ai tempi dello stupro della ragazza per la posizione che prese in difesa dei violentatori. Vi sarà noto che il sindaco Salvatore Carai - sottraendo soldi pubblici per la difesa legale dei ragazzi, isolò di fatto completamente la vittima in una solitudine terribile all'interno di una cittadina che la respingeva e che aveva già scelto che gli stupratori in fondo non erano colpevoli in quanto la vittima era considerata "ragazza facile” (all’epoca la vittima aveva 15 anni!).
È nostra convinzione che all’interno di un Partito che vuole essere Democratico, difensore dei diritti dei più deboli, sensibile alla politica di genere, non può accadere che venga candidata a sindaco una persona che, lungi dal rappresentare valori di uguaglianza e rispetto della dignità umana in cui crediamo, è portatore di vecchi pregiudizi patriarcali.
Chiediamo quindi che venga ritirata la candidatura alle elezioni regionali di Salvatore Carai e che vengano studiati dei percorsi, soprattutto nelle scuole, che sensibilizzino i ragazzi e le ragazze a una cultura della dignità e del rispetto della persona e delle differenze contro ogni violenza di genere.
Aspettiamo speranzose una vostra risposta ricordandovi per inciso che dal suffragio universale anche le donne hanno diritto al voto e ogni decisione presa contro la loro dignità avrà un peso.

Associazione "Usciamo dal Silenzio"
Alessandra Ballerini (avvocato, candidata elezioni regionali lista civica Noi con Burlando)

Franca Speranza

Grazia Neri

Antonella Bormida (Assistente Sociale)

 

8 marzo, un secolo di lotte per il pane e le rose

Secondo una leggenda la giornata dell’8 marzo sarebbe nata nel 1908 in seguito ad un massacro di operaie tessili avvenuto negli Stati Uniti, causato dall’atteggiamento discriminatorio della direzione della fabbrica che, per impedire alle lavoratrici di partecipare ad una manifestazione di protesta, aveva deciso di rinchiuderle nei reparti condannandole a morte.
Eppure possiamo dirlo con assoluta certezza: nessun giornale americano del 1908 (da “Solidarity” dei mitici IWW -International Workers of the World- al “New York Times” al “Chicago Daily Socialist”) riporta una simile notizia che pure, se non altro come fatto di cronaca, avrebbe dovuto avere una notevole risonanza. Il fatto cioè che viene accreditato come l’ispiratore dell’istituzione della Giornata Internazionale della Donna (l’incendio di New York o di Chicago, secondo le versioni) non avrebbe alcun riscontro reale nel periodo in cui viene storicamente collocato.
Come nasce in realtà la giornata dell’8 marzo?
La prima volta che si parlò dell’istituzione di una Giornata Internazionale della Donna, secondo la maggior parte delle fonti che abbiamo consultato, fu alla II Conferenza Internazionale Socialista tenutasi a Copenaghen tra il 28 agosto e il 13 settembre1910. Già da alcuni anni le più importanti esponenti del movimento rivoluzionario europeo, Rosa Luxemburg, Alessandra Kollontaj ed in modo particolare la tedesca Clara Essner Zetkin (direttrice del giornale “Die Gleichheit”, L’Uguaglianza) avevano sottolineato la necessità che i partiti dei lavoratori affrontassero in maniera più specifica alcuni temi che, seppure propri della condizione femminile, avevano importanza universale: il diritto di voto alle donne in primo luogo, ma anche le “otto ore”, il divieto del lavoro notturno, la tutela delle lavoratrici madri, il diritto di organizzarsi sindacalmente.
Nel 1910 tuttavia fu formalizzata - anche per iniziativa delle donne socialiste americane - in un documento ufficiale, riportato da tutta la stampa dei lavoratori, la decisione di effettuare in ogni nazione una Giornata che ponesse con forza il problema della questione femminile;.
Già da due anni (dal maggio del 1908) il Partito socialista americano teneva iniziative con al centro le tematiche femminili; nel novembre 1909 inoltre venne proclamato a New York lo sciopero delle camiciaie, categoria in cui le donne -per lo più molto giovani- rappresentavano l’80% della forza lavoro. Le donne organizzarono e sostennero ininterrottamente per oltre tre mesi i picchettaggi davanti alle fabbriche, sopportando gli insulti dei benpensanti e le aggressioni fisiche della polizia: più di 600 furono arrestate e tredici di loro condannate ai campi di lavoro.
Lo sciopero, finalizzato ad ottenere il riconoscimento di un sindacato di categoria, alla fine fallì per l’abbandono dei dirigenti sindacali che, di fronte all’intensificarsi della repressione, non se la sentirono di andare fino in fondo e di coinvolgere in questa lotta il grosso dei lavoratori; ma fu una straordinaria esperienza per le lavoratrici che vi presero parte.
Una nuova leva di lavoratrici erano entrate in campo ed avevano visto coagularsi attorno a loro una grande solidarietà da parte di tutte le organizzazioni femminili: dalle socialiste alle femministe alle suffragette che diedero un aiuto che andava oltre la solidarietà di classe.

Sebbene sia falso che un incendio abbia ispirato l'8 marzo, in effetti il 30 marzo 1911 a New York accadde veramente qualcosa di terribile. Su “Solidarity”, giornale dell’IWW (Industrial Workers of the World) del 1° aprile possiamo leggere un articolo titolato “Un crimine del capitalismo”:
“New York è stata ieri la scena di uno dei più orribili sacrifici di vite proletarie al profitto capitalista che abbia mai turbato la metropoli e forse la nazione. Centotrentaquattro giovani lavoratori e lavoratrici sono stati uccisi nell’incendio che ha distrutto il palazzo di dieci piani a ‘
prova di fuoco’ della ‘Triangle Shirt Waist Company’, all’angolo tra Washington Place e Green Street. Intrappolati ai piani alti con le porte chiuse per costringerli a rimanere al lavoro, senza nessuna scala di sicurezza della quale potessero servirsi per mettersi in salvo, i lavoratori, terrorizzati, per lo più ragazze, sono saltati dalle finestre in numero tale che in effetti sembrava ai pompieri di trovarsi sotto una pioggia di esseri umani. Le ragazze son venute giù a due e a tre insieme seppellendo i pompieri e quelli che li aiutavano sotto questa terribile pioggia di corpi. Molti erano anche bruciati in maniera tremenda. L’obitorio dove sono state portate le vittime, somigliava a un campo di battaglia con questa orribile mostra di cadaveri. I corpi erano bruciati, feriti, senza braccia o senza gambe, maciullati, arrostiti e distorti da tutte le agonie di una morte improvvisa e violenta.
Era una visione da inferno dantesco; una visione che solo Doré poteva immaginare e rappresentare. Al momento dell’incendio i proprietari della ‘
Triangle Waist Company’ erano tranquillamente al sicuro a casa propria con le mogli e i figli, mentre i proprietari dell’edificio si stavano godendo i piaceri di Palm Beach in Florida. La S.W.C. assumeva anche operai non iscritti al sindacato e questo è stato la causa di un grande sciopero nel 1909 che ora è stato così punito.
Naturalmente nessuno è precisamente responsabile di questo sacrificio orribile e inutile di vite di lavoratori: così ha detto il giudice, così dice il capo dei pompieri; in effetti questo è quello che dicono tutte le fonti legate ai capitalisti. Non si può certo mettere in discussione il metodo capitalista di trarre profitto attraverso l’assassinio della classe operaia: questo è stato chiaramente dimostrato nel recente disastroso incendio a Newark, New Jersey, dove le vite dei lavoratori sono state liberamente spese e sprecate e i capitalisti che sfruttavano il loro lavoro hanno altrettanto liberamente potuto restare impuniti.”

Naturalmente i padroni della fabbrica vennero assolti nel procedimento penale, ricevendo anzi un cospicuo indennizzo da un pool di compagnie assicurative. I parenti dei lavoratori morti furono risarciti, dopo una lunga causa, con 75 dollari per ogni vittima.
Quindi accadde effettivamente qualcosa di atroce che colpì, come spesso accade, i soggetti più deboli: non caso la maggior parte dei morti furono lavoratrici immigrate, in gran parte italiane ed ebree dell’Europa dell’est. La vicenda tuttavia, anche se probabilmente ha ispirato le leggende sulle origini dell'8 marzo, non è in connessione diretta. Se noi consultiamo fonti storiche americane troviamo la notizia della strage in riferimento non alla condizione femminile, bensì al tema della sicurezza sul lavoro e alla discriminazione nei confronti dei lavoratori immigrati.
Nello stesso mese della strage di New York, ed esattamente il 19 marzo 1911 si tenne la prima celebrazione della Giornata Internazionale della Donna in Europa. Quel giorno non era stato scelto a caso: il Segretariato internazionale delle donne socialiste su iniziativa delle delegate tedesche, l’aveva indicato per ricordare che in quella data, durante l’insurrezione del 1848, un re - Guglielmo I di Prussia - aveva dovuto per la prima volta nella storia scendere a patti con un popolo in rivolta e fare la promessa (poi rimangiata) di estendere il voto alle donne.
Dal marzo 1913, per iniziativa delle militanti del partito bolscevico, si cominciò anche in Russia a festeggiare la Giornata delle Donne, appuntamento accompagnato da notevoli repressioni della polizia zarista e deportazioni in Siberia per le organizzatrici. Prima della guerra la giornata aveva cominciato a diffondersi in Europa (Svezia, Germania, Danimarca, Austria, Svizzera, Francia), senza riuscire tuttavia a trovare una data uguale per tutte. Durante gli anni terribili della Prima Guerra Mondiale, le manifestazioni si svolsero tra mille difficoltà o non si svolsero affatto: proprio in Russia però avvenne l’evento che portò alla scelta definitiva dell’8 di marzo. In Germania già nel 1914 si era celebrato un 8 marzo dedicato alle donne, ma era stato un caso che una settimana di lotta indetta dalle organizzazioni dei lavoratori iniziasse proprio quel giorno con i temi legati alla condizione femminile e la cosa non avrebbe probabilmente avuto seguito.
Nel febbraio 1917 la Russia era in ginocchio: sui campi di battaglia avevano già perso la vita un milione e settecentomila soldati, mentre tutto il Paese viveva momenti drammatici di inflazione e carestia. A metà mese era stato introdotto il razionamento per tutti i generi alimentari, mentre a Pietrogrado si spargeva la notizia che c’era farina per dieci giorni soltanto. Le lunghissime code che si formarono davanti ai negozi semi-vuoti spinsero le associazioni delle donne operaie ad organizzare nella città una grande manifestazione che, accanto ai temi ormai tradizionali legati al diritto di voto e alla difesa delle condizioni di vita e di lavoro delle donne, agitasse la richiesta della fine della guerra.
Per raccordarsi simbolicamente alle donne americane, che da anni festeggiavano il Woman’s day, fu scelta la data del 23 febbraio. Come si sa il calendario giuliano russo aveva alcuni giorni di differenza rispetto a quello gregoriano: è noto ad esempio che quella che è conosciuta come la “Rivoluzione d’Ottobre”, avvenne in realtà il 7 novembre del nostro calendario.
E così il 23 febbraio russo, che corrispondeva in realtà all’8 marzo nel resto d’Europa, si tenne a Pietrogrado quella che è considerata la più grande manifestazione di associazioni femminili mai organizzata nella storia. Fu così imponente che le stesse truppe dello Zar non osarono sul momento reprimerla. In tutte le fabbriche dove era presente manodopera femminile (numerose, tenendo conto che gran parte degli uomini erano impegnati al fronte) si tennero comizi e le donne uscirono in corteo dietro striscioni rossi improvvisati contro lo Zar.
Il grande successo spinse gli organizzatori a riconvocare un’altra manifestazione per il giorno seguente, ma la polizia chiuse i ponti sulla Neva per isolare i quartieri operai dalla città governativa. I manifestanti furono costretti ad attraversare il fiume gelato camminando sul ghiaccio e organizzarono un grande corteo che sfilò al canto della “Marsigliese”. Questa volta la polizia intervenne attaccando la manifestazione e causando alcune vittime. Il 25 febbraio però tutta Pietrogrado scese in sciopero generale mentre gruppi di soldati, che solidarizzavano con i manifestanti, cominciavano a disertare.
Alla sera del 26 la città era bloccata, le fabbriche e le scuole chiuse, i quartieri operai in rivolta, ma il giorno stesso la Zarina scriveva al marito: “Si tratta di un movimento promosso da teppisti…se facesse un po’ più freddo probabilmente sarebbero rimasti tutti a casa. Tutto passerà e tornerà la calma.” Il giorno stesso il generale Khabalov, comandante della guarnigione di Pietrogrado, aveva ricevuto un telegramma dallo Zar: “Vi ordino di far cessare da domani tutti i disordini nelle strade della capitale, inammissibili in questo momento di guerra con la Germania”. Il 27 la polizia e i soldati aprirono più volte il fuoco contro i dimostranti. Il reparto d’istruzione del reggimento Volynskij usò le mitragliatrici e centinaia di donne e uomini rimasero sul terreno.
Il 28 mattina il comandante di questo reparto, il capitano Laskevic, entrò in caserma e lesse il telegramma dello Zar che ordinava nuovamente la repressione di ogni manifestazione. I soldati però si erano riuniti in assemblea durante la notte e avevano deciso che non avrebbero più sparato sulla popolazione civile. Alle minacce del capitano scoppiò un tumulto; quando l’ufficiale estrasse la pistola i soldati lo uccisero e poi si riversarono fuori. Così iniziò la sollevazione della guarnigione di Pietrogrado: i soldati guidati da capi eletti sul momento si diressero ai quartieri popolari e distribuirono le armi ai comitati degli operai.
In due giorni la città cadde in mano agli insorti, il tribunale e la prigione - simboli dell’oppressione - furono incendiati. Lo Zar Nicola II abdicò a favore del fratello il Granduca Michele che, temendo per la propria vita, non se la sentì di accettare. Dopo 304 anni la dinastia iniziata con il suo omonimo Michele Romanov nel 1613, era stata cacciata da un’insurrezione di donne e operai.
Proprio in ricordo della manifestazione di Pietrogrado dell’8 marzo 1917, nel giugno del 1921 la Conferenza Internazionale delle donne comuniste, che si tenne a Mosca, adottò formalmente quella data come “Giornata Internazionale dell’Operaia”. In seguito negli altri Paesi diventò la Giornata delle lavoratrici, e poi più in generale delle donne.
L’origine russa e comunista della giornata era però ovviamente scomoda nell’Italia del dopoguerra, divisa tra Don Camillo e Beppone; ed è il motivo per cui il PCI inventa la leggenda delle origini americane della festa. Scrive Pietro Secchia (all’epoca vice di Togliatti) nel 1952 su l’Unità: “Devono aver pensato: è certamente un‘invenzione sovietica! E invece è proprio in America che tale giornata è nata, come del resto in America è nato il 1° maggio! È stato un congresso di lavoratori americani, nel 1908, che decise di dedicare ogni anno questo giorno ad una grande manifestazione per il diritto di voto ed in difesa delle rivendicazioni morali, economiche, politiche e giuridiche delle donne.”
Nei decenni seguenti la giornata si istituzionalizza: nel 1977 l’ONU invita tutti i Paesi a scegliere un giorno in cui si facesse annualmente il punto sulla condizione delle donne; si conferma l’8 marzo come Giornata Internazionale della Donna e si sceglie un simbolo preso dalla tradizione del movimento operaio dell’inizio del Novecento: “Bread and roses”. Il pane per rappresentare la battaglia per il miglioramento delle condizioni economiche e le rose per rappresentare i continui sforzi per una migliore qualità della vita.
Oggi l’8 marzo si consuma tra spettacoli per sole donne e feste in discoteca, in un clima da “semel in anno licet insanire” che, come tutte le occasioni una tantum, lascia un po’ di malinconia. Sia detto senza moralismi, sarebbe forse meglio lasciare l’8 marzo alle sue tradizioni, più o meno condivisibili, e approfittare di altre occasioni, che certo non mancano, per divertirsi come meglio si crede. Anche perché, quando non si sa più da dove si viene, è molto difficile che si sappia dove si vuole andare."

(estratto dal libro “8 marzo” di Mirco Volpedo, edizioni ERGA)

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